Ipnosi e psicoterapia a Cagliari

venerdì 12 dicembre 2014

Infanticidio. Mamme che uccidono i figli: cosa accade nella loro mente?

Cari lettori e lettrici,
mi ha colpito molto la vicenda (una tra le varie di questo periodo) di Bussana, che ha visto come protagonista la ragazza russa Natalia Sotnikova, rea di aver ucciso il proprio figlio di 9 mesi alle prime ore del mattino nuotando fino a largo con lui nel marsupio (era un'esperta nuotatrice), e abbandonando il bambino - ormai morto annegato - in balìa del mare aperto, allontanandosi apposta per chilometri dalla riva per non farlo trovare (fonte: ansa). Al di là dei dettagli, della colpevolezza ammessa dalla donna, dei testimoni che l'hanno vista andare col bambino e tornare senza coi capelli bagnati, la riflessione che vorrei condividere con voi vorrei desse qualche risposta alla seguente domanda: perché? 
C'è una certa immagine da cartone di Walt Disney, complice le pubblicità della Chicco, una scenetta dove gli uccellini cinguettano e la mamma e il neonato si rispecchiano l'una negli occhi dell'altro con infinito amore. E lì il tempo si ferma, in un riconoscimento reciproco amalgamato da coccole e carezze, un idillio con violini e flauti nel sottofondo. Questa immagine di un neonato pacifico e amorevole che dorme, mangia e ogni tanto fa pupù, rimane nell'immaginario collettivo, ed è parte del problema. 
Cosa succede se una neomamma con queste aspettative si ritrova invece un neonato che grida disperato, si dimena, non la riconosce, e fa il contrario di quanto viene mostrato nelle pubblicità di passeggini? 
Il sogno si infrange e inizia, a seconda della mamma, una vero incubo. 
Non tutte le mamme sono uguali, e non tutti i bambini sono uguali. Ci sono i neonati che hanno un temperamento mansueto, altri che sono molto movimentati, si annoiano facilmente, hanno il pianto facile e una generale tendenza verso la lamentosità, forse perché poco o troppo stimolati e un'infinità di altri motivi). Neonati che NON stanno dove i genitori li lasciano (per esempio nella carrozzina), ma che fanno il diavolo a 4 se li si costringe. Alla faccia del neonato con gli occhi color cielo che dorme beato nella pubblicità.
Tutti i neonati mettono a dura prova la mamma, che se non ha una rete sociale di supporto ben salda, persone che le diano supporto o semplicemente il cambio per farsi una doccia, corre il rischio di trovarsi col neonato urlante totalmente sola, isolata, annientata dalla stanchezza e dalla privazione di sonno. A lungo andare questo porta a una situazione di rottura di un equilibrio precedente. A seconda del fatto che la mamma desiderasse davvero il bambino o meno, la propria capacità di gestione della frustrazione, la presenza (vera, non solo fisica) di un marito/partner, questa rottura può portare alcune mamme verso la progettazione di un infanticidio, un modo estremo, istintivo, irrazionale per eliminare la causa di tutti i propri mali. 
Così semplice? No, come potrete leggere in un'inchiesta di Panorama, molte madri provano suicidarsi, riuscendoci, per il terribile, schiacciante, devastante senso di vuoto e di colpa. 

Qualsiasi neonato va gestito con amore, e l'amore viene dall'istinto materno e dal nostro vissuto. Ci sono donne che provano un istintivo richiamo di accudimento verso un neonato, specie se piange (il pianto del neonato è una richiesta di aiuto multiculturale), altre che lo avvertono molto meno, o avvertono invece un senso di repulsione. Una parziale consapevolezza di cosa significa avere un figlio costituisce parte del problema. 

Ci sono donne estremamente autonome, emancipate, che viaggiano sull'onda di una carriera da scalare. Un figlio per una giovane mamma significa limitare enormemente la propria autonomia, smettere di fare cose semplici come andare al cinema o fare jogging perché bisogna allattare, accudire, giocare, cullare, cambiare pannolini etc. etc. Alcune direbbero fanno rientrare queste cose nella categoria "amare il proprio figlio", altre nella categoria di "cose da fare", il che denota il diverso approccio emotivo. 
Rimandare per mesi viaggi, uscite serali, cene in ristorante o bloccare una carriera, a seconda del temperamento del neonato e della mamma, per certe persone è intollerabile e avere un neonato viene vissuto come un intralcio. Scoprire l'altra faccia della medaglia quando è troppo tardi: questa è un'altra parte del problema. 
Unite i puntini, e verrà fuori il profilo di una persona alle strette che decide in modo consapevole di sbarazzarsi di una scelta di cui sta pagando molto care le conseguenze, con l'illusione di riacquistare la tranquillità e l'autonomia di prima. 
Grande errore: si può fuggire da una minaccia, dal luogo di un incidente, ma non dall'essere madre. Non c'è luogo al mondo che possa farci dimenticare questa consapevolezza. 
La spiegazione data agli inquirenti dalla benestante Natalia Sotnikova chiude il quadro: temeva che il bambino fosse schizofrenico come la nonna, e voleva risparmiargli una vita così. 
Così, senza alcuna prova medica o accertamento, semplicemente per il fatto che aveva iniziato a piangere in modo ingestibile, facendo superare a Natalia quella linea di rottura di equilibrio interiore che l'ha portata a compiere un atto orribile. Complice un'immaturità e incapacità affettiva, e una ridotta consapevolezza di cosa significa la maternità. 
Qundi no, non è spiegabile tutto sempre e solo con la depressione. Ci sono altre ragioni.
Se volete ne riparleremo in un altro post. 

Dott. Delogu


lunedì 24 novembre 2014

Cari lettori,
da diverse settimane sto collaborando con il giornale online Vistanet, per il quale settimanalmente scrivo degli articoli -sotto la voce "il parere dello psicologo"- su fatti di cronaca locale, regionale e nazionale. Gli argomenti vanno dal maltrattamento degli animali al bullismo, da certi metodi dubbi di contagio dell'HIV all'abuso di sostanze, tutto in chiave psicologica e scritto "a modo mio". Gli argomenti variano di settimana in settimana, e mi farebbe piacere condividere con voi questa esperienza. Vi lascio pertanto il link, dicendovi che se vorrete commentare i miei articoli, sarete i benvenuti.
vistanet
Questo blog rimane invece incentrato su argomenti legati all'ipnosi, suggestionabilità, argomenti collaterali come il lavaggio del cervello, la manipolazione mentale, l'ipnosi regressiva alle vite precedenti e tanto altro ancora: roba che piace a noi. Tutto con un taglio divulgativo, ma critico e scientifico.
Credete ci siano degli aspetti in comune tra la trance medianica -del medium in una seduta spiritica, la trance mariana dei veggenti di Medjugorie e la trance ipnotica?
Dove sta la verità?
Ve ne parlerò nel prossimo articolo qui, su ipnosicagliari.blogspot.it 
Restate sintonizzati sulle nostre frequenze.

A prestissimo.

Dott. Delogu

venerdì 7 novembre 2014

Parlare in pubblico: un disastro? Ecco la soluzione.

Cari lettori,
ci sono in giro molti libri che, in teoria, insegnano a parlare in pubblico o a migliorare le proprie performance. Diversi di questi libri, a mio avviso, servono a chi è già bravo a gestire un pubblico, mentre a chi si trova nell'imbarazzo più totale danno delle indicazioni utili, ma mostrano il traguardo senza indicare passo-passo la strada da percorrere.
Io so cosa vuol dire avere la lucidità mentale ridotta al 30% per l'ansia, so cosa vuol dire inciampare nelle parole, entrare nel pallone ed essere disposti a tutto perché quel tormento finisca. E oggi, che ho una testa diversa, so cosa vuol dire non vedere l'ora di salire su quel palco.
Cos'è cambiato?  
Partiamo da qui: parlare in pubblico è molto di più che salire su un palco di fronte a delle persone, e fare un discorso. La stessa differenza che può esserci tra salire una rampa di scale, e salire sull'Everest.
Il vero nemico sono i nostri pensieri relativi all'evento che verrà, che hanno lo scopo di preservarci da un'esperienza negativa.  Una persona che ha paura di parlare in pubblico, comincerà a immaginare se stessa che davanti a tutti si dimentica cosa deve dire, si inceppa in silenzi assordanti, e immagina che chi la osserva comincerà a lamentarsi o a chiacchierare col vicino. Questa io la chiamo "autosuggestione negativa". In sostanza nella mente è scattato un meccanismo automatico che serve per metterci un freno, lo stesso meccanismo che scatterebbe se salissimo su un cornicione: una voce dentro di noi ci direbbe che cadremo e moriremo sul colpo, e ci intimerebbe di scendere. Seguire il pensiero significherebbe salvarsi, non seguirlo rischiare di morire.
La differenza che vorrei fosse chiara, è che questo meccanismo non fa differenze tra pericoli reali o relativi.
Esiste quindi una parte della nostra mente che ci rema contro, alimentando paure, insicurezze e preparandoci a una cocente delusione. Vedete come solo con queste premesse la strada verso il fallimento è già spianata, e siamo stati noi a farlo, non il pubblico.
Chi non vede l'ora di parlare in pubblico invece funziona diversamente: il suo cervello è sintonizzato su frequenze positive, che trasmettono sicurezza ed energia. Si sente in grado di affrontare qualunque imprevisto, e prepara al meglio le parti del suo discorso, con precisione ma lasciando ampio spazio alla creatività. L'ansia? C'è e ci deve essere, ma quella buona che ti tiene all'erta. Se non c'è ansia, significa che non ci importa nulla di quello che stiamo facendo, e la prestazione sarà "sloppy", sciatta, senza colore.
Ci sono persone che funzionano bene se hanno una scaletta precisa in mente, altri che collegano nuvole concettuali con ampie parti a braccio.
Entrambe le situazioni richiedono una conoscenza meticolosa dell'argomento.
Come si fa però a passare da uno stile di pensiero all'altro?
Qui entra in gioco l'ipnosi e un insieme di tecniche e strategie da adottare col terapeuta sulla base dei risultati. E' quindi un processo che si apprende, e non si può fare da soli. Anch'io ho avuto i miei maestri.
Per saper parlare bene in pubblico bisogna essere pronti a mettersi in gioco e superare il problema a qualsiasi costo. Parlare con una persona che conosciamo è facile. Parlare con una persona sconosciuta? Parlare con 2 persone sconosciute? Cosa sarà cambiato dentro di noi quando riusciremo senza difficoltà a fermare un gruppo di persone con un pretesto? Siamo disposti a metterci in gioco per risolvere il problema?
Vi ricordate la pubblicità della Vigorsol che davano tempo addietro?
Guardatela, e capirete che la strada che porta a parlare in pubblico è un processo graduale di cambiamento di noi stessi.
Cosa farebbe il ragazzino del video senza l'eschimese che gli fa da coatch e infine pronuncia il verdetto "you are ready!" ("sei pronto!")?
In un certo qual modo l'eschimese è lo psicoterapeuta, il ghiaccio è la paura.
Se deciderete che è giunto il momento per voi, io sono pronto - I am ready.

Dott. Delogu

venerdì 31 ottobre 2014

Volete superare un trauma? Leggete qui.

Cari lettori,
Si dice che il tempo guarisce ogni cosa. Ma è proprio vero?
In molti casi sì: il tempo che passa, il sovrascrivere la nostra memoria con altre esperienze effettivamente aiuta, ma non sempre.
Facciamo un esempio: quale conseguenza può avere la morte di un genitore? O una violenza sessuale nella vittima? O un abuso nell'infanzia?  Il tempo guarisce anche quei ricordi, o ci sono ricordi talmente traumatici da diventare water resistent al lavaggio temporale?
Sarò sincero: è molto difficile prevedere quali conseguenze può avere un'esperienza come una violenza sessuale, per esempio. Ci sono donne che dopo un travaglio mentale ci mettono una pietra sopra e guardano sempre avanti, vivendo pienamente i loro rapporti, e altre che evitano in generale tutto ciò che ha a che vedere con la sessualità perché lo percepiscono "sporco". Altre donne ancora riportano dei comportamenti diversi (psicosomatici, come dolore) in reazione a uno stimolo simile all'evento traumatico. Siamo tutti diversi, e reagiamo in modo diverso in base a ciò che ci circonda e a ciò che sta scritto nel nostro DNA. E questo vale anche per il lutto, per una malattia degenerativa, maltrattamenti, aborto, minacce, tutto ciò che è rimasto impresso indelebilmente nella nostra memoria.
I ricordi traumatici hanno questa caratteristica: il tempo passa ma quei ricordi rimangono lì, lucidi e terribili come se fosse accaduto ieri. Chi è stato coinvolto in un evento traumatico, sa di cosa sto parlando.
Ma una soluzione c'è, e prende il nome di EMDR, psicoterapia breve, rapida, efficace oltre l'80%.
Mi rendo conto che cattura molto di più l'ipnosi, ma signori: l'EMDR è realmente efficace al di là della vostra immaginazione.
In buona sostanza attraverso una procedura particolare nella quale si ripensa all'evento traumatico e si seguono le dita (per ora prendete per buono ciò che vi dico), è possibile in 9 casi su 10 elaborare un singolo episodio traumatico, anche in una seduta, e renderlo disturbante in una scala da 0 a 10, 0.
Certi ricordi sono molto traumatici e complessi, per cui si rende necessario suddividerli in vari step, da elaborare singolarmente, come se prendeste la pellicola di un film e la divideste in 1°, 2°  e 3° tempo.
Il risultato è che quando la persona ripenserà all'evento oggetto della seduta, lo sentirà talmente distante quasi da dimenticarlo. E in ogni caso l'impatto sarà o 0 o 1 a seconda degli eventi. Per capirci, un incidente che fa perdere un arto non potrà mai essere disturbante 0, questo è chiaro, ma può perdere l'impatto negativo su di noi, al punto che possiamo lasciare andare quel ricordo.
Con l'EMDR è possibile scollare il ricordo dall'emozione, come una suola dalla scarpa. Il ricordo rimasto privo dell'emozione, diventerà un ricordo neutro.
Nella mia esperienza ho aiutato persone a elaborare traumi orribili, e se pensate che certe cose accadano solo in America, vi sbagliate. E lo dico con profonda amarezza.
Come stanno oggi queste persone?
Chiedetelo direttamente a chi ha provato l'EMDR: persone che hanno ripreso a vivere.
Per cui, se avete vissuto un trauma che condiziona la vostra vita e volete risolverlo una volta per tutte, chiamatemi.

Dott. Delogu
3473095315
g.delogu@me.com

giovedì 23 ottobre 2014

Master in ipnosi e counseling

Cari lettori,
vi informo che sono aperte le iscrizioni per il master in Ipnosi e PNL, caratterizzante per la professione di coatch e counselor. Il master è aperto a tutte le persone interessate.
Nella locandina, che purtroppo si vede poco e male -per cui mandatemi una mail che vi invio il pdf) vedrete il programma, suddiviso in moduli. Chi desidera può acquistare anche un solo modulo, e chi desidera può pagare il master in comode rate, diciamo quanto paghereste per una pasta e un cappuccino al giorno.
Chi fosse interessato può chiamare il numero nella locandina o rivolgersi direttamente a me.
Il corso sarà pratico, con esercizi mirati a farvi fare delle esperienze fuori dal comune.
Detto ciò, mi impegnerò a venire incontro a qualunque vostra esigenza.

Dott. Delogu

martedì 21 ottobre 2014

Parto in ipnosi: finalmente a Cagliari

Carissimi lettori,
la notizia è di oggi, martedì 21 ottobre: a Cagliari una donna di 39 anni partorisce quasi senza alcun dolore attraverso una tecnica di anestesia ipnotica, quindi utilizzando l'ipnosi come tecnica analgesica, senza uso dell'epidurale.
Se non l'avete vista su Videolina, trovate la notizia qui 
In realtà il parto in ipnosi è una tecnica nota e diffusa già da molto tempo in ambito medico. Il primo parto in ipnosi in Italia venne effettuato nel 1957 dal ginecologo e ipnotista Giampiero Mosconi, uno dei nomi più illustri nel panorama italiano dell'ipnosi, purtroppo recentemente scomparso. Scrisse numerosi libri, tra cui uno riguardante il training ipnotico per il parto.
Non è una prassi comune in tutte le cliniche e reparti di ostetricia e ginecologia, principalmente per motivi logistici (nessun ospedale ha un ipnotista strutturato tra il personale, quindi deve essere un esterno che agisce privatamente, col consenso del primario -cosa non proprio automatica) e più sommariamente di ignoranza e scetticismo sull'argomento.
Senza andare molto lontano c'è un'ampia letteratura sull'uso dell'ipnosi nel dolore, e importanti riconoscimenti scientifici sull'efficacia. Nonostante ciò, NESSUNA STRUTTURA DI TERAPIA ANTALGICA di Cagliari ha nel suo organico uno psicoterapeuta esperto di ipnosi nel dolore. Con buona pace della definizione di dolore globale dell'organizzazione mondiale della sanità, nella quale rientrano gli aspetti psicologici, costituenti l'esperienza soggettiva del dolore.
No: per gli amministratori il dolore va trattato per via chirurgica o farmacologica, STOP. Non c'è spazio per l'ipnosi e gli aspetti psicologici, anche se questa unione di forze dovesse significare una remissione della sintomatologia (leggi, paziente dimesso).
Lascio a voi lettori le dovute conclusioni.
Discorso purtroppo non molto diverso nel parto. Per questa ragione l'annuncio pubblico di un parto in analgesia ipnotica fa scalpore, perché è una voce fuori dall'ordinario.
Vorrei tanto che non fosse solo un ritaglio di un giornale, ma facesse da apripista verso un'integrazione dell'ipnosi ai trattamenti ormai consolidati. 
Come funziona il training per il parto in ipnosi?
Insegnando alla partoriente degli esercizi di autoipnosi da eseguire a casa propria, finalizzati a gestire le varie fasi del parto in autoipnosi. Ridurre il dolore è possibile, come dimostrato dall'articolo, ma anche accelerare la fase espulsiva e accorciare il travaglio.
I migliori candidati sono i buoni soggetti ipnotici, ma la cosa che conta è entrare nell'ottica di apprendere un nuovo modo per usare la mente per gestire il proprio corpo.
Detto ciò, vi prego, spargete la voce di questa notizia: l'ipnosi è un grande aiuto per gestire il dolore del parto, e oggi ne avete avuto una prova proprio qui in città.
Per un approfondimento sull'ipnosi nel parto leggete qui.
Nei vari ambulatori di terapia del dolore (tutti eccetto il policlinico) mi sono specializzato in ipnosi nel dolore, in tutte le sue forme, partendo dal dolore benigno (cefalea, emicrania, fibromialgia, lombosciatalgie, colon irritabile etc) passando per la dimensione del dolore oncologico e il dolore da parto. Stando dove la gente sta male sul serio, lontano dai riflettori.

Lo scrivo e lo sottoscrivo: in qualsiasi momento sono pronto ad aiutarvi.
Ringrazio l'equipe di Ostetricia della clinica universitaria per l'ottimo lavoro.

Dott. Delogu

Orientamento sessuale: questo mistero.

Cari lettori, 

E’ recente la polemica della trascrizione sul registro di matrimoni gay da parte dell’On.Ignazio Marino, con grande clamore e contestazioni. La questione spacca le opinioni tra favorevoli, meno favorevoli e contrari. E in Italia in molti posti si grida allo scandaloLa sessualità risente fortemente della cultura di appartenenza, e il concetto stesso di famiglia si trasforma a seconda della cultura che la circonda e la descrive. La sessualità è quindi un aspetto dinamico, plastico e non statico. Questo significa in poche parole che certe esperienze ambigue in ambito sessuale ci confondono, disorientano la nostra identità, mettendo in dubbio la nostra eterosessualità, che si basa, nella nostra cultura, su una dicotomia assoluta: o sei eterosessuale, o sei omosessuale. Ma questa categorizzazione netta va bene nei manuali, ma poco si adatta alla realtà, dove esistono persone che hanno delle relazioni affettive stabili con un partner eterosessuale, ma sono talvolta attratte da esperienze con persone dello stesso sesso, senza alcun coinvolgimento affettivo. Queste persone in quale categoria rientrerebbero? 70% eterosessuale, 30% omosessuale? Sono "veri omosessuali" che ancora non si riconoscono tali, come qualcuno pensa? Io non ne sarei così certo.
C’è chi trova eccitante l’idea di un rapporto orale con un altro uomo, ma trova impensabile l’idea di starci insieme e farci una famiglia. C’è chi è attratto da un rapporto passivo da parte di un travestito, ma non per questo se lo sposerebbe. C'è chi 
sta bene con un partner dello stesso sesso, così come uno di sesso diverso.
C’è soprattutto chi accetta queste cose, e accetta questa parte di sé, in qualunque percentuale si presenti, e chi invece se ne fa una croce, sentendosi sbagliato e marchiato di una vergogna che non si cancella. Qui entra in gioco lo psicologo, che ha il compito di fare chiarezza dentro la persona, partendo da un punto fondamentale: l’accettazione. Richiede tempo, richiede una persona -nella fattispecie il terapeuta- che non sia giudicante, che accetti l’altro così com’è, e che conosca tecniche e modalità specifiche di agire. Nella mia esperienza posso dire che esiste la possibilità di stare meglio, la possibilità di avere una strada davanti laddove si pensava di essere in mare aperto, senza meta. Per coloro che si sono sentiti toccati da queste mie parole, la porta è sempre aperta. 

Per completamento, ho trovato un ottimo decalogo di una collega pubblicato su Repubblica, che incollo: 

1. L’orientamento sessuale è il risultato dell'interazione di fattori biologici, genetici, ambientali e culturali. Non è biologicamente preordinato in modo rigido verso un dato sesso, ma solo indirizzato con una preferenza, in modo più o meno rilevante, nella maggioranza dei casi, in senso eterosessuale. Rimane un certo grado di fluidità potenziale, che permette lo svilupparsi delle differenze, in base a processi di apprendimento ed eventi di vita.
2. Non siamo sessualmente orientati in modo stabile e unico ma possono determinarsi dei cambiamenti. Ci sono persone che vivono anni da eterosessuali e poi sperimentano, in alcuni periodi, cambiamenti nell’attrazione sessuale, nelle fantasie e nel desiderio. Questa instabilità riguarda gli eterosessuali così come gli omosessuali.
3. Ci sono motivi per pensare che in assenza di pressioni sociali, condizionamenti culturali ed educativi di una società che sostiene e favorisce la direzione etero, probabilmente una proporzione di popolazione molto più vasta esprimerebbe un orientamento sessuale diverso. È un dato appurato inoltre che le persone che hanno rapporti di natura sessuale, in modo occasionale o continuativo, con una persona dello stesso sesso, sono molte di più delle persone che si definiscono omosessuali;
4. Omosessuali ed etero non sono categorie distinte, nemmeno dal punto di vista genetico. Nonostante l’accanimento di qualche "ricercatore", nessun gene dell'omosessualità è stato fino a oggi isolato. Inoltre le etichette etero, omo e bisessuale sono ormai considerate inadeguate per esprimere l’ampia gamma di possibilità degli orientamenti sessuali. Non tutti siamo esclusivamente attratti da un genere o in misura uguale da entrambi. Sono solo schemi grossolani che inquadrano e riducono una realtà ben più complessa.
5. Le donne mostrano una maggiore flessibilità nel proprio orientamento. Diversi studi evidenziano una maggiore probabilità che le donne siano bisessuali piuttosto che esclusivamente omosessuali, mentre negli uomini si verifica il contrario. Le donne non eterosessuali tendono di più a considerare il proprio orientamento sessuale come flessibile, in alcuni casi “scelto”, mentre gli uomini più spesso lo vivono come innato e immutabile.
6. Alternative di orientamento sessuale riguardano statisticamente più i maschi per poi rimanere abbastanza stabili nel tempo, rispetto a quello che avviene nelle femmine. Percorsi geneticamente innati sembrano esserne le cause, insieme ad elementi legati alla più elevata rigidità dei ruoli di genere culturalmente imposti agli uomini nella nostra cultura.
7. L’ipotesi – smentita dagli studi - che l’orientamento sessuale sia immutabile e che si nasca orientati verso un dato sesso, sembra rendere più facile l’accettazione sociale dell’omosessualità in una società, come la nostra, ancora omofobica.
8. Non esistono evidenze scientifiche che l’orientamento sessuale possa essere modificato volontariamente. L’American Psychological Association ha escluso che sia possibile modificarlo utilizzando forme di terapia psicologiche o religiose. Non a caso, le cosiddette terapie riparative orientate agli omosessuali falliscono clamorosamente. 
9. Non c’è alcuna prova scientifica legittima che dimostri che vivere una sessualità diversamente orientata rispetto alla maggioranza, significhi aver subito traumi infantili, deficit educativi, rapporti difficili con i genitori o con l’altro sesso. Così come non è stata trovata nessuna correlazione tra orientamento sessuale e psicopatologia. Fino agli anni 70 del secolo scorso l’omosessualità era contemplata come deviazione sessuale nel DSM, il manuale diagnostico statistico di riferimento della psichiatria. Oggi questa voce resiste solo nel pregiudizio.
10. L’orientamento sessuale è una caratteristica radicata che ha un significato profondo per gli individui: è espressione di sé. La sua limitazione psicologica, culturale o giuridica infligge gravi danni psicologici.

(fonte http://d.repubblica.it/amore-sesso/2014/05/19/news/etero_omosessuale_bisessuali_di_che_sesso_sei-2145166/ )

Dott. Delogu