so bene che ci sono persone che decidono da un giorno all'altro di smettere di fumare, e semplicemente lo fanno, senza rimpianti, senza patemi d'animo. Spengono l'ultima sigaretta e fanno altro, pensano ad altro. Ci sono persone in grado di fare così, o che semplicemente funzionano in questo modo. Beati loro!
Ma perché altre persone devono superare le 12 fatiche di Ercole per riuscire a smettere?
Una possibile ipotesi è che esistono persone con una struttura di personalità dipendente, che si traduce col fatto che tendono a sviluppare relazioni di dipendenza dalle figure affettive, quindi avere sempre bisogno di conferme, vicinanza, consigli o consensi, con una conseguente mancanza di autonomia decisionale. Per queste persone prendere una decisione coraggiosa come andare a lavorare all'estero diventa impossibile per i sensi di colpa, e prendere una decisione contraria alle aspettative degli altri diventa fonte di grande stress. Se queste persone fumano, può darsi che arrivino a proiettare sul fumo qualcosa di personale, come un modo per tenersi compagnia, o per convogliare l'ansia, o l'unico spazio di autonomia personale.
Una seconda ipotesi diagnostica è che alcuni fumatori abbiano un disturbo del controllo degli impulsi, come la cleptomania, sono che ha come oggetto il fumo.
Una terza ipotesi è che alcuni fumatori non smettano perché il fumo sostituisce la compulsione di un disturbo ossessivo compulsivo.
Può darsi che quella persona non abbia niente di patologico, ma sia incastrata in una routine che alimenta e mantiene la dipendenza dalla sigaretta.
Potrei andare avanti con le ipotesi, ma non è questo ciò che conta.
Voglio dirvi questo: tutti i fumatori sono diversi, hanno storie di vita diverse, vissuti diversi anche a parità di situazioni, e ragionano e pensano diversamente. Il fatto che abbiano la stessa dipendenza non significa affatto che il meccanismo alla base sia lo stesso, e pertanto che esista una cura universale che va bene per tutti, così come non significa che tutte le persone che provano a smettere lo vogliano tutte al 100%.
Per capire meglio quest'ultimo concetto, pensate che mentalmente accade lo stesso conflitto che si avverte quando termina un rapporto sentimentale: uno dei due da un lato odierà l'altro per il male che ha fatto, ma dall'altra ci saranno sentimenti contrastanti nei quali prevarrà il rimpianto per quella persona. E' l'odi et amo di Catullo.
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
"Odio e amo. Perchè io lo faccia, forse ti chiederai.
Non lo so, ma sento che accade, e mi tormento".
E' la presenza di sentimenti opposti e contrastanti del tutto irrazionali, che sfuggono al controllo volontario e creano un conflitto intrapsichico, il tormento interiore.
Chi non riesce a smettere si trova nella medesima situazione: vuole smettere ma non vuole smettere.
Vuole smettere per vari motivi solitamente razionali -soldi, salute, il non riuscire a smettere-, e non vuole smettere per motivi non razionali, tant'è che, quando lo chiedo, spesso le persone mi rispondono "non lo so", o mi dicono che faccio domande troppo difficili. Questo è il confine, il limite della razionalità.
Il problema nasce quando a monte delle ragioni non razionali ci sono problematiche più complesse, che impediscono alla persona di smettere. A volte le persone vogliono affrontare queste tematiche, altre volte preferiscono continuare a fumare e non pensarci.
Quando si presenta da me una persona che vuole smettere di fumare, la prima cosa che cerco di capire è cosa non ha funzionato nei tentativi precedenti per smettere. In secondo luogo faccio delle ipotesi sul perché quella persona continua a fumare. E dato che tutte le ipotesi vanno falsificate, in ogni caso procedo sempre con delle strategie che lavorano sul presente, che mettono in corto circuito il sistema di gratificazione del fumo.
Se queste tecniche funzionano, come spesso accade, è il risultato stesso a falsificare la mia ipotesi iniziale, e ne sono ben contento. Se le tecniche non funzionano, una delle possibili cause è che una resistenza inconscia sia entrata in funzione bloccando l'efficacia delle tecniche.
Faccio un esempio: supponiamo che voi siate degli psicoterapeuti, e si presenta una signora alla quale è morto il marito, e vi dice che vuole superare il lutto.
Voi lavorate a modo vostro sul problema, ma vedete che le cose non vanno per il verso giusto, in una parola invece che stare meglio, la signora sta uguale se non peggio. Al che indagando scoprite che quella persona aveva solo il marito come punto di riferimento, e la sola idea di "lasciarlo andare" la getterebbe nella più totale disperazione. Capite bene quindi che al fine di raggiungere l'obiettivo prefissato, sarà necessario che la signora arrivi a essere più forte, non sentirsi più sola, prima di intraprendere un lavoro diretto sul marito. Perché qualunque vostro tentativo di lavorare sul lutto verrebbe bloccato dalla non collaborazione inconscia della vostra paziente.
Questo per farvi capire che smettere di fumare con l'ipnosi non è uno schiocco di dita, non è la filastrocca ipnotica che fa dimenticare il fumo (magari esistesse!), ma significa conoscere molto bene le dinamiche del fumo, conoscere e saper applicare molte tecniche, strategie e protocolli, e sapere esattamente cosa fare in determinate situazioni. Il chirurgo che gestisce con successo l'emergenza in sala operatoria. Io la vedo così, un bisturi affilato non basta assolutamente, tanto meno il titolo accademico.
Questo per dire che non bisogna dare per assodato che basti il titolo di "psicoterapeuta" per avere la competenza necessaria per gestire una dipendenza dalla sigaretta, perché così purtroppo non è.
L'esperienza personale, una feroce pratica clinica, lo studio maniacale e una passione per l'argomento e quello che si fa portano al risultato e ad aprire la propria mente lontano dagli schemi iniziali.
Spero che da queste righe traspaia la mia passione, che qualcuno a Cagliari etichettò come "iniziale".
Direi che quel qualcuno si sbagliava.
Dott. Delogu
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