Cerchi uno psicologo a Cagliari e non sai da dove cominciare? Cagliari o qualunque altra città: il discorso non cambia!
Vi spiegherò quali sono le strade da percorrere, i pro e i contro di ciascuna, e vi aiuterò a districarvi nel labirinto delle psicoterapie e della burocrazia italiana. Naturalmente chiamare il primo nome che capita, senza sapere esattamente chi è e cosa fa, è una scelta azzardata. Sapere esattamente cosa cercare è la chiave per raggiungere il successo.
Esattamente vi serve uno psicologo, uno psicoterapeuta, uno psichiatra... o uno psicanalista? Partiamo da qui: per chi non lo sapesse, lo psicologo, laureato in psicologia e iscritto all'albo degli psicologi, può fare un sacco di cose tra cui sostegno psicologico, consulenze, somministrazione di test, formazione nelle aziende, selezione del personale, attività di prevenzione nelle carceri, etc., ma non fa psicoterapia. Per intenderci, per tutti coloro che credono che parlare con lo psicologo sia come parlare con un amico, sappiate che lo psicologo scolastico fa cose completamente diverse dallo psiconcologo o dal neuropsicologo (se volete approfondire queste specializzazioni, cliccate sulle parole). Ma entrambi non possono fare psicoterapia.
Lo psicoterapeuta è uno psicologo o un medico che si è specializzato presso una scuola quadriennale di psicoterapia. Conosce quindi metodi, tecniche e protocolli propri per trattare disturbi psicopatologici. Esistono tantissime scuole di psicoterapia di orientamento diverso, con diversi studi di efficacia, ma ne parleremo dopo.
Lo psichiatra è un medico con specializzazione in psichiatria, che gli conferisce oltre al titolo di psichiatra anche il titolo di psicoterapeuta. Perciò può prescrivere una terapia farmacologica per trattare disturbi psichiatrici, e fare anche una psicoterapia. Più concretamente si trovano psichiatri che trattano farmacologicamente disturbi psichiatrici di qualunque genere e scelgono di non fare psicoterapia, e psichiatri che danno la priorità alla psicoterapia mettendo in secondo piano l'aspetto farmacologico laddove possibile. Correnti di pensiero diverse.
Il neurologo è un medico specialista in neurologia, branca della medicina che studia il sistema nervoso e i disturbi ad esso connessi (Parkinson, attacco ischemico transitorio etc). Alcuni neurologi trattano con la terapia farmacologica problemi di carattere psicopatologico (per esempio un disturbo del sonno), creando una sovrapposizione di competenze con lo psichiatra.
Il farmacologo è un medico o un laureato in farmacia, specializzato in farmacologia. Si occupa dello studio dell'interazione tra principi farmacologici e cervello/organismo. Il farmacologo studia, per esempio, l'effetto degli antagonisti della ricaptazione della serotonina sui ratti. Ci sono farmacologi che trattano farmacologicamente pazienti con disturbi psichiatrici, creando una sovrapposizione di competenze con lo psichiatra.
Ci sono poi medici con 2 o più specializzazioni affini (specialista in neurologia e farmacologica, o neurologia e psichiatria) che possono coprire un range più ampio di disturbi.
Una cosa è certa: per questioni burocratiche non basta il titolo di medico per prescrivere qualunque farmaco a chiunque. Il cardiologo avrà molte difficoltà a giustificare la prescrizione di un antipsicotico, così come l'oculista non può prescrivere, se non ampiamente giustificabili, farmaci di competenza neurologica.
Chiarito che non avete un problema neurologico, né francamente psichiatrico, e che volete risolvere il vostro problema con la psicoterapia, dovete sapere che ci sono due sistemi per trovare uno psicoterapeuta, a seconda della vostra disponibilità economica:
1) Centro di Salute Mentale (CSM o CIM, centro di igiene mentale)
2) Psicoterapeuta privato.
I CSM sono dei centri della ASL di diagnosi e cura, dove è possibile fare dei colloqui con la psichiatra e, non ovunque, un pacchetto di 8 sedute a cadenza bimensile con la psicologa-psicoterapeuta.
Vantaggi: 1) è gratis.
2) esiste la possibilità di trovare un professionista davvero bravo e capace.
Svantaggi: 1) se la psicologa del CSM non ci piace, ce la dobbiamo tenere perché non possiamo cambiarla.
2) dopo le 8 sedute siamo fuori. A seconda del problema e dell'orientamento della psicologa 8 sedute sono sufficienti per risolvere un problema. Ma potrebbero essere anche solo l'inizio della terapia. Meglio di niente.
2) Se capita qualcosa, non abbiamo il numero di telefono dello psicologo, ma dell'ufficio del CSM. Se è chiuso perché è domenica, o se lei non è in turno, siamo fregati.
3) Essendo un servizio territoriale, nella sala d'attesa si trovano persone di ogni estrazione sociale e con problemi di vario genere: dallo schizofrenico alla persona con ritardato mentale. Per qualcuno questo può essere un problema.
4) Privacy: tra corridoi, specializzandi, infermiere e pazienti, bisogna mettere in conto che qualcuno ci vedrà dentro un CSM.
Quando seguivo io le molte persone che ho visto in un CSM devo dire che malgrado tutte queste piccole scomodità, e la "personalizzazione" di qualche regola da parte mia, il feedback è stato molto positivo. Per contro, ho conosciuto molte persone che in un CSM si sono trovate molto male. Morale della favola: il posto non è il massimo, ma con la persona giusta tutto viene abbondantemente compensato.
Psicoterapeuta privato: le cose non sono affatto facili come si crede. Sapevate che esistono psicoterapie brevi con protocolli di 10 sedute per ansia-panico-fobie, e terapie che per gli stessi problemi ci impiegano 10 anni? Ne parleremo nella "mini guida parte 2: l'impero colpisce ancora".
Dott. Delogu - CONTINUA-
P.S: ecco la parte 2 e la parte 3
Ipnosi e psicoterapia a Cagliari
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Tel. 3473095315 Mail: g.delogu@me.com
Studio: via Tuveri, 72 Cagliari (CA)
Sito: www.giovannidelogu.it
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lunedì 31 marzo 2014
Cerchi uno psicologo a Cagliari? (Mini guida parte 1: la nascita dell'impero)
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Dott. Giovanni Delogu
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venerdì 28 marzo 2014
Il raggiro delle immagini shock sui pacchetti di sigarette.
E' ufficiale: per una nuova normativa europea appena approvata, vedremo il 65% della superficie dei pacchetti di sigarette ricoperte da immagini shock, come già accade in altre parti del mondo; mentre nei lati compariranno le solite scritte dissuasorie che già conosciamo. Nel 2022 spariranno le sigarette al mentolo, e, tenetevi forte, la normativa europea approvata il 14 marzo, prevede -pensando ai giovani- pacchetti con minimo 20 sigarette all'interno, per cui spariranno i pacchetti da 10 perché si pensa che i giovani ci penseranno bene prima di comprare un pacchetto da 20 che costa di più.
La logica è apparentemente ingenua, qualsiasi ragazzino può comprare un pacchetto da 20 e dividere le spese con un amico, o fregare le sigarette al padre o scroccarle. Ma queste misure sono fatte nell'ottica di non creare troppi danni collaterali, mentre impazza una lotta clandestina tra le lobby internazionali del Big Tobacco (raggruppamento dei principali produttori di tabacco mondiali) e l'industria in forte aumento della e-cig, la sigaretta elettronica.
Se da un lato il governo tassa la sigaretta elettronica al 58,5%, dall'altra la rende fumabile ovunque. Se da un lato alza il tiro contro l'industria del tabacco, dall'altra le azioni sono più simboliche che di reale efficacia.
Ma perchè questi equilibrismi? Perché lo stato non prende una decisione forte per limitare il numero di morti smoke-related, se questo è l'obiettivo ufficiale?
Per via di interessi economici enormi: tagliare la testa all'industria del tabacco significherebbe perdita di posti di lavoro in agricoltura, manifattura, servizi di commercializzazione del tabacco, e quell'enorme indotto legato al commercio del tabacco, dal trasporto alle promoter. Sarebbe per lo Stato Italiano l'inizio del tracollo finanziario. Pensate che solo nel 2013, secondo l'amministrazione dei Monopoli di Stato, si è registrata una perdita di 700 milioni di euro di mancate tasse governative per il calo di vendite a favore della sigaretta elettronica. 700 milioni di euro in un anno.
Dall'altro lato vietare la sigaretta elettronica significherebbe far chiudere 3000 punti vendita, mandando a casa 4000 persone che hanno generato un fatturato di 300 milioni di euro nel 2013.
Lo stato quindi compensa i mancati incassi in tasse governative con una tassazione più alta della sigaretta elettronica. E porta avanti una ovviamente innocua campagna contro l'industria del tabacco.
Innocua davvero? Sì, è scientificamente provato, anzi, una ricerca dimostra che le immagini shock fanno fumare di più!
Una ricerca scientifica dei ricercatori dell'università di Montreàl ha dimostrato in un campione di 30 fumatori sottoposti a neuroimaging, che il cervello del fumatore è molto poco attivo di fronte alle immagini-shock legate al fumo, mentre è particolarmente attivo di fronte a stimoli che legano il fumo a esperienze piacevoli.
Uno studio della Doxa (azienda che si occupa di ricerche e analisi di mercato) commissionato dall'Istituto Superiore della Sanità ha dimostrato che se le immagini scabrose, in una fase iniziale distolgono ad acquistare tabacco, ma alla lunga i fumatori si abituano e tornano a comprare i nuovi pacchetti.
Secondo uno studio appena pubblicato su Psychological Science, le immagini shock dopo qualche giorno generano un incremento della vendita del 400%, infondendo paradossalmente un senso di fiducia nel prodotto, a differenza invece del pacchetto senza alcuna immagine o avvertimento sulla salute.
L'inganno delle scritte ammonitrici è ormai chiarito: da un lato lo Stato si pulisce la coscienza perché fa un gesto simbolico populista per limitare le morti di tumore, poco importa se questo "qualcosa" sia efficace o controproducente. Dall'altro, guadagnando egli stesso sulla vendita di sigarette, non azzarda mai qualcosa che nuoccia gravemente alle casse dello Stato.
Alla faccia della salute dei cittadini.
Dott. Giovanni Delogu
Psicologo psicoterapeuta Cagliari
La logica è apparentemente ingenua, qualsiasi ragazzino può comprare un pacchetto da 20 e dividere le spese con un amico, o fregare le sigarette al padre o scroccarle. Ma queste misure sono fatte nell'ottica di non creare troppi danni collaterali, mentre impazza una lotta clandestina tra le lobby internazionali del Big Tobacco (raggruppamento dei principali produttori di tabacco mondiali) e l'industria in forte aumento della e-cig, la sigaretta elettronica.
Se da un lato il governo tassa la sigaretta elettronica al 58,5%, dall'altra la rende fumabile ovunque. Se da un lato alza il tiro contro l'industria del tabacco, dall'altra le azioni sono più simboliche che di reale efficacia.
Ma perchè questi equilibrismi? Perché lo stato non prende una decisione forte per limitare il numero di morti smoke-related, se questo è l'obiettivo ufficiale?
Per via di interessi economici enormi: tagliare la testa all'industria del tabacco significherebbe perdita di posti di lavoro in agricoltura, manifattura, servizi di commercializzazione del tabacco, e quell'enorme indotto legato al commercio del tabacco, dal trasporto alle promoter. Sarebbe per lo Stato Italiano l'inizio del tracollo finanziario. Pensate che solo nel 2013, secondo l'amministrazione dei Monopoli di Stato, si è registrata una perdita di 700 milioni di euro di mancate tasse governative per il calo di vendite a favore della sigaretta elettronica. 700 milioni di euro in un anno.
Dall'altro lato vietare la sigaretta elettronica significherebbe far chiudere 3000 punti vendita, mandando a casa 4000 persone che hanno generato un fatturato di 300 milioni di euro nel 2013.
Lo stato quindi compensa i mancati incassi in tasse governative con una tassazione più alta della sigaretta elettronica. E porta avanti una ovviamente innocua campagna contro l'industria del tabacco.
Innocua davvero? Sì, è scientificamente provato, anzi, una ricerca dimostra che le immagini shock fanno fumare di più!
Una ricerca scientifica dei ricercatori dell'università di Montreàl ha dimostrato in un campione di 30 fumatori sottoposti a neuroimaging, che il cervello del fumatore è molto poco attivo di fronte alle immagini-shock legate al fumo, mentre è particolarmente attivo di fronte a stimoli che legano il fumo a esperienze piacevoli.
Uno studio della Doxa (azienda che si occupa di ricerche e analisi di mercato) commissionato dall'Istituto Superiore della Sanità ha dimostrato che se le immagini scabrose, in una fase iniziale distolgono ad acquistare tabacco, ma alla lunga i fumatori si abituano e tornano a comprare i nuovi pacchetti.
Secondo uno studio appena pubblicato su Psychological Science, le immagini shock dopo qualche giorno generano un incremento della vendita del 400%, infondendo paradossalmente un senso di fiducia nel prodotto, a differenza invece del pacchetto senza alcuna immagine o avvertimento sulla salute.
L'inganno delle scritte ammonitrici è ormai chiarito: da un lato lo Stato si pulisce la coscienza perché fa un gesto simbolico populista per limitare le morti di tumore, poco importa se questo "qualcosa" sia efficace o controproducente. Dall'altro, guadagnando egli stesso sulla vendita di sigarette, non azzarda mai qualcosa che nuoccia gravemente alle casse dello Stato.
Alla faccia della salute dei cittadini.
Dott. Giovanni Delogu
Psicologo psicoterapeuta Cagliari
mercoledì 26 marzo 2014
La crisi, vista in prospettiva
La fotografia in bianco e nero che vedete sulla sinistra è il nostro bastione, chiamato Bastione di san Remy, nel 1943, con le scalinate distrutte dopo i bombardamenti. Oggi, 71 anni dopo le cose son cambiate, ma i media continuano a parlare di crisi e la gente a lamentarsi: c'è qualcosa che non va.
Da psicologo il mio lavoro mi impone di vedere le cose in prospettiva, per cui seguitemi, e andiamo.
Situazione 1: Incontro un amico per strada e cominciamo a parlare, fermi sul marciapiede. Dopo qualche minuto esce una signora da una porta -più un anfratto, direi- e mi apostrofa dicendomi: "non ha visto che lì c'è una vetrina?". Mi giro, e vedo questa vetrina alle mie spalle, buia e male arrangiata.
"Sì, quindi?", le chiedo. E la signora con fare scontroso mi dice che stando lì impedivo alle persone di guardare la sua vetrina, togliendone la visuale. E se avessi avuto un po' di senso civico, aggiunge, mi sarei dovuto spostare. "Lavorerà anche lei, in questo periodo, con la crisi che c'è".
Già, colpa della crisi ora, come sempre, e colpa mia che stavo davanti alla sua vetrina buia.
Situazione 2: incontro una signora sul pullman mentre andavo in studio, e faccio lo sbaglio di chiederle "come va?". Mi avesse parlato dei suoi problemi, poco male, è il mio lavoro risolvere il problemi delle persone, e invece al di là delle mie aspettative, inizia una terribile lagna sulla crisi e su tutti quei giovani "molti laureati e disoccupati", che tornano a fare i contadini. "Perché la terra rende sempre". E giù a dire, in mezzo ad altre persone che annuivano, che la situazione è disperata, che non c'è lavoro, che era meglio quando si stava peggio, che non c'è speranza.
Per un terribile attimo ho pensato di lanciarmi giù dal pullman in corsa e mettere fine a questa vita di sofferenze. Poi ho pensato: ma questa avrà almeno 70 anni e prende la sua comoda pensione senza muovere un dito con la casa e terreni di proprietà, perché si lamenta?
Situazione 3: Spesa proletaria furto al market per protesta
Recentissimo, un gruppo di donne scontente del taglio ai sussidi per le persone meno abbienti, prima manifestano di fronte ai servizi sociali, poi in gruppo si riempiono i carrelli da Auchan ed Ld, uscendo senza pagare. "Spesa proletaria", l'hanno chiamata i giornali, dipingendolo come atto estremo di rivolta, riscatto proletario da uno stato borghese che taglia i sussidi a chi è già povero.
A ldi là del fatto che la riduzione dei sussidi dovrebbe essere uno stimolo per cercare lavoro e non per rubare, peccato che queste persone, bravissime a organizzare gesti politici con rilevanza penale, non usino le risorse per mettersi insieme e fare impresa: una cooperativa di badanti per persone anziane, o di pulizie, tutte cose che fanno invece le ucraine e non le sarde. Perché diciamocelo, le ucraine hanno lasciato il loro paese per lavorare a qualunque costo, e, a differenza degli italiani, nella loro testa non c'è spazio per la crisi.
La crisi è un fenomeno emotivo e mediatico, un piangersi addosso scoraggiati estremamente contagioso. Porta verso l'immobilità totale, la rinuncia a provarci. Chi rinuncia a provarci perché dà la colpa alla crisi fa un ragionamento circolare che gli si ritorce contro: non c'è lavoro perché c'è la crisi, c0è la crisi perché non c'è lavoro, per cui non vale la pena provarci. Se ci fermiamo a pensarci è un ragionamento di comodo: se c'è la crisi non mi metto in gioco, non rischio, non ci metto la faccia, non cambio il mio mondo. Aspetto che l'aiuto venga da fuori, che cambino le cose fuori e non dentro di me, e non faccio il minimo sforzo attivo, ma solo passivo della lamentela.
Si parla oggi di crisi, ma se paragoniamo la situazione di oggi con la fine della guerra nel 1945 dove c'era la miseria, Cagliari in macerie, non c'erano telefoni da 700€ né auto, e chi poteva lavorare non stava certo in piazza a parlare della crisi, ma si dava da fare per avere i soldi per comprare il pane (e non rubarlo), capiamo che oggi c'è qualcosa che non va.
Quasi 70 anni fa mia nonna, poco più che ragazzina con un figlio di pochi mesi e un marito morto sotto i bombardamenti -ergo sola- alle 4,30 del mattino prendeva la bicicletta e si faceva chilometri, passando in mezzo ai pascoli di bestiame, per prendere la coincidenza del treno delle 6 che l'avrebbe portata a Senorbì dove insegnava nella scuola elementare. I suoi alunni erano bambini che parlavano solo il sardo, prevalentemente scalzi e sporchi perché in casa non avevano i soldi per comprare il sapone. Nella sua testa non c'era lo spazio materiale per pensare alla crisi, alla miseria, a una vita da ricostruire dalle fondamenta.
Storie eroiche, di forza, di coraggio, di una determinazione incrollabile.
Oggi le persone si lamentano perché i giornali a loro volta proclamano una realtà che non esiste, valori di un debito procapite che non vuole dire NULLA. Leggete qui debito pubblico procapite . Ad Atene, da come ne parlavano i giornali, mi aspettavo la guerra civile, carcasse di auto bruciate per la strada. Ho visto invece sì qualche negozio chiuso, ma innumerevoli aperti, prati ben curati, strade pulite, università, migliaia di turisti, belle auto. Esiste un mercato dinamico che cambia, si evolve, ed è necessario cambiare ed evolversi con esso, restare al passo con i tempi e non fossilizzarsi sulle proprie certezze, essere flessibili.
Eurallumina, nota azienda con sede a Portovesme, ha avvertito la discesa dei prezzi dei metalli nel mercato internazionale già nel 2009, ragion per cui ha messo in cassa integrazione per oltre 1 anno 400 dipendenti. E' di gennaio 2013 la notizia che deve restituire allo Stato 34 milioni http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2013/12/11/news/corte-europea-eurallumina-deve-restituire-34-milioni-1.8283336 In parole povere è una nave che affonda, con tutti i cassaintegrati dentro.
Domanda: perché già a partire dalla fusione russa nel 2006 i lavoratori non hanno fiutato il crollo e non si sono trasferiti nelle altre fabbriche di bauxite situate nel mondo? Australia, Brasile, Cina, India, Jamaica, solo alcune delle nazioni che producono milioni di tonnellate di bauxite. Credo che agendo con un anticipo di 6-8 anni QUALUNQUE operaio specializzato sarebbe in grado di apprendere la lingua -persino in cinese o l'arabo- emigrare in un paese estero e portare i soldi a casa. Ma rappresenta una progettualità, un cambiamento, una crisi (dal greco crisis, cambiamento).
Forse è più comodo continuare a lamentarsi e dire "Manifesteremo anche le nostre più grandi preoccupazioni rispetto a un dibattito elettorale in cui le principali forze politiche si dimostrano lontane anni luce dai problemi e dalle prospettive future dei cassaintegrati, in mobilità e disoccupati del territorio". Nuova protesta dei cassaintegrati
Aspettando, col solito meccanismo, che le cose cambino partendo dall'esterno e non dall'interno. Ripenso a mia nonna che pedalava per ore al buio su strade bianche per prendere la coincidenza col treno per dare le saponette ai bambini scalzi. Se ci fossero stati allora gli aerei di oggi, chi l'avrebbe fermata?
Alla faccia di chi si lamenta della crisi.
Aspettando, col solito meccanismo, che le cose cambino partendo dall'esterno e non dall'interno. Ripenso a mia nonna che pedalava per ore al buio su strade bianche per prendere la coincidenza col treno per dare le saponette ai bambini scalzi. Se ci fossero stati allora gli aerei di oggi, chi l'avrebbe fermata?
Alla faccia di chi si lamenta della crisi.
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